Emissione coniata per commemorare il fallito rapimento del re Stanislaw August Poniatowski da parte dei Confederati.
"Il re viene rapito da due diavoli infernali, uno con in mano un pugile e l'altro una torcia accesa. Dal cielo cadono saette, ma dalle nuvole emerge una mano che sostiene il re. In lontananza si vede Varsavia. Iscrizione in alto: NOLITE TANGERE CHRISTOS MEOS. Ovvero: non toccare i miei unti. In sezione: HORA X. NOCT[is] D[ie] III. NOV[embris] MDCCLXXI. Ovvero: alle ore 10 del 3 novembre 1771": così scrive Edward Raczyński a proposito di questo oggetto.
Medaglia di Oexlein, firmata sul dritto I. L. Oexlein.
Sul rovescio il numero di inventario, scritto in inchiostro nero.
Copia con specchio di zecca conservato. Un numismatico di alta qualità con un grande potenziale per il futuro.
Dritto: un re in abiti romani strattonato da due Erinni, dalle nuvole una mano divina che regge il re, nel segmento HORA X NOCT D III NOV MDCCLXXI
NOLITE TANGERE CHRISTOS MEOS
Rovescio: la Providentia scorta il re al castello di Varsavia, nell'episodio FIDA POLONIA GAVDET
OCVLI DOMINI SVPER IVSTOS
Diametro 43 mm, peso 21,92 g
Una coincidenza inaudita, che assomiglia appena alla verità, ha spinto a coniare questa medaglia all'estero, poiché nessuno in Polonia avrebbe mai pensato di immortalare un ricordo di un crimine così efferato. Forse un evento del genere sarebbe stato negato in Polonia, se non fosse accaduto davanti a tutta Varsavia. Al momento in cui scriviamo, circa 33 anni dopo, sono ancora vivi i testimoni oculari del crimine, tra cui il principale attore del caso.
Il 3 novembre 1771, una domenica sera, tra le nove e le dieci, il Re stava tornando al castello dal Duca Czartoryski, suo zio, Cancelliere di Lituania, che aveva visitato in cattive condizioni di salute. Era insolito che il Re viaggiasse con un gran numero di persone, ma quel giorno, a causa della vicinanza del palazzo del Cancelliere in Honey Street al castello, il numero di persone che viaggiavano con lui era ancora più ridotto. Il re aveva già mandato a casa i ciambellani e ordinato ai lancieri di tornare al loro posto. Davanti alla carrozza reale, due lancieri a cavallo e una carrozza portavano torce. C'erano anche alcuni servitori ufficiali, due cortigiani e un subcondottiero. Nella carrozza con il re sedeva un aiutante, accanto alla carrozza c'erano due paggi a cavallo e dietro la carrozza c'erano due hajduk e altrettanti fanti.
A duecento passi dal palazzo del cancelliere, tra il vescovo di Cracovia e l'Hetman della Corona, che era sdraiato di fronte, furono tagliati davanti alla carrozza reale da un gruppo di cavalieri, che si pensò fossero guardie notturne russe, poiché sembravano cosacchi russi. Quando si frapposero tra i cortigiani che li precedevano e la carrozza successiva, vennero sgridati dal sottoconduttore, che li avvertì di non ostacolare la carrozza reale. Ma i briganti non vedevano l'ora di circondare il veicolo reale e nello stesso momento un nuovo gruppo di loro si unì al primo, essendo usciti dalla strada trasversale chiamata Dziekanka, dove erano pronti da tempo. Alcuni di loro ordinarono al forsennato di puntarsi una pistola al petto, altri gettarono l'intendente dal cavalletto e un numero maggiore di loro si avventò sulla carrozza stessa. Degli hajduk del Re che tentavano di difenderlo, uno Jerzy Buczan fu colpito a morte, un altro Szymon Mikulski fu pericolosamente ferito, uno dei paggi fu sbalzato da cavallo e il suo cavallo fu strappato via, i cavalli del Subconduttore e di uno dei cortigiani furono colpiti, Il fischio dei proiettili si sentiva da tutte le parti, la carrozza fu trapassata in molti punti, alcuni proiettili raggiunsero anche il re stesso, che però, per uno strano scherzo del destino, non fu visto, ma rimase intrappolato nella pelliccia che indossava. Una sparatoria così furiosa, che mirava sempre quasi al veicolo reale e alla sua persona, fece credere ai capibanda dei briganti che il loro crimine fosse stato commesso e che il re fosse vittima del loro furioso ardore; pertanto, temendo l'arrivo di militari dalle vicinanze del castello, i loro due capibanda, Lukawski e Stravinsky, con un gran numero di criminali, si impegnarono a fuggire da questo pericolo. Allora il re, sperando di sfuggire nell'oscurità della notte a una così terribile avventura, decise di scendere lui stesso dalla carrozza, ma un terzo capo tribù, Kosiñski, di cui parleremo più avanti, rapì il re con i suoi compagni e, dopo averlo privato di tutte le armi, si impegnò a rapirlo; e il re scampò per poco al pericolo, quando da una fucilata molto ravvicinata sentì un fuoco e ricevette una ferita alla nuca da una sciabola, che gli ferì non solo la pelle ma anche il cranio. Il re rapito fu preso tra i cavalli e trascinato a piedi fino al Palazzo Krasiński. Lì, vedendo che il re, esausto, aveva il fiato corto per la corsa e non poteva assolutamente essere condotto oltre in quel modo, lo fecero salire su un cavallo e lo condussero con la massima fretta nelle trincee che circondavano la città; Lì, quando il cavallo dovette cambiarsi, cadde due volte sotto di esso e si ruppe una gamba, e il re rimase intrappolato nel fango, dove perse il pelo, tanto che fu tirato fuori a fatica e messo su un altro cavallo. Attraversate le trincee, gli assassini lo spogliarono di tutto, prendendo i suoi ordini e tutto ciò che gli fu trovato addosso, tranne il fazzoletto, che chiese di tenere, e le sue puglie, che non videro. Lì, per nascondere la loro fuga, gli assassini si dispersero di nuovo, desiderosi di riferire a colui che li aveva mandati che i loro piani erano stati portati a termine, a riprova di ciò gli portarono gli ordini strappati al re. Solo sette rimasero con il re. La notte era eccezionalmente buia e non riuscivano a trovare la strada mentre vagavano per la campagna. Quando il re vide che si stavano dirigendo verso Burakov senza conoscere la strada, li avvertì del pericolo di cadere nelle mani dei soldati russi. Questo avvertimento calmò le menti crudeli dei briganti, che capirono che il re non aveva intenzione di sfuggire alle loro mani, così si diressero verso Bielany e, dopo aver superato strade quasi impraticabili, raggiunsero la foresta di Bielany. Dal momento in cui passarono dietro le trincee della città di Varsavia fino all'arrivo a Bielany, i briganti chiesero più di una volta al loro comandante se non fosse il caso di fare il loro lavoro togliendo la vita al loro prigioniero, e queste domande erano tanto più frequenti quanto più si moltiplicavano gli ostacoli che bloccavano la loro fuga. Erano appena entrati nella foresta di Bielański quando suonò la guardia campestre russa. Questo li allarmò incomprensibilmente e, pensando di essere inseguiti, quattro di loro fuggirono nella foresta, lasciando il re nelle mani di tre dei suoi compagni. Passò appena un quarto d'ora prima che la seconda guardia russa si facesse sentire, il che indusse altri due a rifugiarsi nella foresta, lasciando il re sotto la guardia di uno che sembrava essere uno dei loro capi, ovvero lo stesso Kosiński di cui sopra, un uomo di bassa estrazione, come si dice, proveniente dalla città di Kuźmina in Wołyń, il cui vero cognome era Kuźma, il quale, spesso dissimulando servizi umili ai signori di Varsavia e infine temendo di essere portato a corte, fuggì nella Confederazione e lì, affermando di provenire dal voivodato di Cracovia e dandosi il soprannome di Kosiński, fu elevato al rango di officiante dal reggente di Puławy. Annoiato dalle fatiche più ardue per tre ore e ferito, il re, già a piedi con il suo compagno armato di spada nuda, fu tentato di ottenere da lui un breve riposo se voleva portarlo vivo al luogo stabilito; ma quest'ultimo, unendo minacce e ordini, gli consigliò di affrettarsi, sperando di trovare un veicolo pronto dall'altra parte della foresta. Raggiunsero così la porta del monastero camaldolese di Bielañski. Lì il re notò che l'assassino, fissato su di lui, era profondamente immerso nei suoi pensieri e, dopo una profonda contemplazione, pronunciò queste parole piuttosto vivaci: "eppure tu sei il mio re". - "Sì, signore", rispose il re, "il tuo, ed è un re favorevole, che non sa come augurarti il male". Mentre andavano sempre più avanti, il re si accorse che la sua guida aveva perso la strada e non sapeva in quale direzione dovesse andare. "Vedo", disse il re, "che non conosci la strada e non sai dove devi girare; lasciami andare in questo monastero e salvati come puoi". "Non lo farò", rispose lo sgherro, "ho giurato e quindi dobbiamo proseguire, anche se per una strada incerta". Approfittò dell'occasione di questa risposta del re per dimostrargli che nessun giuramento può liberarlo da ciò che è obbligato a fare al suo legittimo signore, e così proseguendo, il re non mancò di rivolgere il suo discorso alla stessa cosa, finché non si trovarono vicino a Marymont e quindi in prossimità di Varsavia. Le conversazioni con il re devono aver fatto una notevole impressione su quest'uomo, convincendolo ad abbandonare la sua malvagia impresa, dato che mostrò un'insolita gioia nel trovarsi in quelle vicinanze. Il re, stanco e incapace di procedere oltre, gli chiese di lasciarlo riposare un po'; egli acconsentì alla richiesta e il re, sedutosi sull'erba, riprese la conversazione sul giuramento e, dopo avergli mostrato la malvagità del giuramento per compiere il crimine che aveva commesso, con la sua solita penetrante eloquenza lo convinse. L'uomo, che poco prima puzzava di omicidio e di sangue, era completamente cambiato; cominciò solo a trascinare i piedi per paura della punizione a cui non sarebbe sfuggito a Varsavia se vi fosse comparso. Assicurato da una promessa e dalla parola reale, cadde ai piedi del re, confessò il suo crimine e, completamente alla mercé del re, divenne improvvisamente un salvatore da un assassino. Al re sembrò che la cosa più giusta da fare fosse quella di avvicinarsi a Varsavia. Non lontano da lì c'era un mulino. Kuzma si affrettò a bussare alla porta del mulino, ma tutti dormivano; dopo aver rotto una finestra, li pregò e li scongiurò di lasciare che un certo signore dei briganti si rifugiasse nella loro dimora, ma gli abitanti spaventati non lo persuasero a lungo, finché il re stesso disse loro, attraverso la finestra, che la loro paura era infondata, poiché se avessero rotto la finestra sarebbero facilmente entrati dalla finestra, se avessero avuto intenzioni dannose. Questo discorso convinse gli abitanti, che aprirono la casa e li fecero entrare. La prima cosa che il re fece fu quella di scrivere, a matita e pugilares, al resto di lui, un biglietto al generale Coccea, comandante di un reggimento della guardia a piedi della Corona, con queste parole: "dalle mani degli assassini sono stato quasi miracolosamente liberato, mi trovo nel mulino minore di Marymont; venite a prendermi con tutta la fretta possibile. Sono ferito, ma non gravemente}.